
Partendo dal presupposto che ogni individuo comunica secondo un modo di darsi psichico, logico e corporeo, in riferimento alla capacità comunicativa, da sempre, la scienza ed, in particolare, la medicina, hanno sperimentato e redatto codici, canoni e griglie per valutare il grado maggiore o minore e, di conseguenza, corretto o non corretto, di abilismo linguistico e, dunque, comunicativo, del singolo individuo rispetto alla media gaussiana della pluralità: da qui lo sviluppo e l’attuazione burocratica del concetto di calcolo del quoziente di intelligenza o quoziente intellettivo, imposto dalla formula matematica che lo valuta come il rapporto tra le capacità, nel nostro caso comunicative, dell’individuo “per” la sua età mentale, diviso la sua età biologica nel momento in cui viene condotta la prova.
Da qui la codifica biomedica delle evidenze di disgrafia, disortografia e dislessia nei soggetti in età evolutiva.
Tale paradigma identifica il disallineamento comunicativo come problematica ontologica che sussiste in sè, per natura biologica, non tenendo in considerazione però, a mio avviso, della singolarità comunicativa di ogni soggetto rispetto all’infinita pluralità dei contesti in cui opera, fluidi e mutevoli nello spazio e nel tempo, irriducibile ad una visione schematizzata ad una equazione logica, per sua natura imbrigliata nel suo unico istante di elaborazione.
In seconda battuta, la formula pone le fondamenta di un retaggio culturale basato sull’avvaloramento di un abilismo comunicativo per cui la comunicazione è una capacità ed esiste una determinata soglia oltre la quale l’individuo è capace di esprimere i propri pensieri volontari e le proprie emozioni involontarie, rispetto alla propria età biologica del momento.
Occorre ribaltare l’impostazione di tale formula, ponendo a denominatore non il valore numerico riferito all’età biologica del soggetto, ma quello riferito al numero, alla consistenza e all’impatto delle esperienze significative che egli ha vissuto nel corso della sua esistenza, sino a quel momento.
Applicando questo correttivo e dando ampio spettro d’azione a denominatore al coefficiente legato alla significanza personale delle singole esperienze per il soggetto, risulterà impossibile, a mio modo di vedere, una discrepanza tra età mentale ed età delle esperienze, partendo dal postulato che le esperienze della vita sono le esperienze della mente, le quali non potranno risultare mai, in valore globale, inferiori rispetto alle prime.
Nuova formula per calcolare il QI:
età della mente diviso numero di esperienze significative, per cento.
Tale ridefinizione dovrebbe integrare l’applicazione del calcolo del QI in riferimento alla direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, con particolare riferimento agli alunni plusdotati ed al loro PDP.